Diaspora Ebraica

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view post Posted on 14/12/2008, 10:39
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LA DIASPORA EBRAICA

La diaspora ebraica (in lingua ebraica Tefutzah o Galut גלות, letteralmente "esilio") è la dispersione del popolo ebreo avvenuta durante i regni di Babilonia e sotto l'impero romano. In seguito il termine assunse il significato più generale di migrazione.
È generalmente accettato che la diaspora ebraica abbia avuto inizio intorno all'XIII-VI secolo a.C., con la conquista degli antichi regni ebraici e l'espulsione programmata degli schiavi ebrei dalle loro terre. Un numero consistente di comunità ebraiche si stabilirono poi in varie zone del medio oriente e crearono importanti centri di giudaismo, attivi per secoli a venire. Le soppressioni della grande rivolta ebraica nel 70 d.C. e della rivolta di Bar Kokhba, nel 135 d.C., contribuirono notevolmente all'espansione della diaspora. Molti ebrei furono espulsi dallo stato della Giudea, mentre altri furono venduti come schiavi. Durante la loro assenza, il tempio di Gerusalemme fu distrutto per essere sostituito da una moschea, la Cupola della roccia. Dell'antico edificio religioso semita è rimasto solo il muro occidentale, chiamato "Muro del pianto". Il termine è anche usato, in forma più spirituale, per riferirsi agli ebrei i cui antenati si sono convertiti all'ebraismo al di fuori di Israele, sebbene questi non possano essere propriamente definiti come esiliati.

La diaspora
A causa di tragiche vicende continuate anche fino al XX secolo, la maggior parte degli Ebrei vive lontano dalla Palestina. Questo fenomeno storico va sotto il nome di diaspora (termine greco che significa dispersione). Attualmente la massima concentrazione di fedeli della religione ebraica si trova negli Stati Uniti d'America.
Dunque la storia degli Ebrei è molto tormentata avendo conosciuto il dramma della diaspora; e un numero sempre più grande di ebrei si è trovato a vivere lontano dalla patria d’origine. Eppure essi sono rimasti un popolo unito per la fede nell’unico Dio.

Il popolo della Bibbia: gli Ebrei
Gli Ebrei sono popolo di pastori nomadi organizzato in tribù (piccole comunità di famiglie imparentate tra loro) guidate da un patriarca. La loro storia inizia con uno di questi patriarchi: Abramo, originario della città di Ur in Mesopotamia, secondo la tradizione biblica si diresse verso la Siria e il Mediterraneo per stabilirsi verso il 1800 a.C. in Palestina (terra di Canaan, terra promessa loro da Dio). Fin da questo momento, gli Ebrei seguono un culto monolatrico (venerando, cioè, un solo Dio, pur ammettendo l’esistenza di altri dei). Dalla Palestina, dopo l’epoca dei patriarchi (Abramo, Isacco e Giacobbe), essi migrano in Egitto stabilendosi pacificamente in quel paese. Cambiata la situazione politica sotto i faraoni Ramsete II e Marneptah e divenuti vittime di una persecuzione, sotto la guida di Mosè decidono di tornare in Palestina, attraversando il deserto del Sinai. Qui Mosè dà al suo popolo una legge scritta, istituisce una casta sacerdotale (leviti) e un luogo di culto (l'arca dell'alleanza).
Verso il 1200 a.C. intraprendono la rioccupazione della Palestina. Sotto la guida di Giosuè conquistano prima Gerico e, dopo una lunga e sanguinosa lotta riescono a conquistare Gerusalemme sotto Re David. Dopo la morte di Salomone, successore di David e ultimo re della dinastia ebraica, ha inizio il periodo di decadenza del popolo ebraico. Dopo poche generazioni, infatti il regno si divide in due parti: il Regno di Israele e il Regno di Giuda, che in momenti diversi cadono sotto dominazioni straniere. Comincia così fin da adesso la diaspora, infatti consistenti comunità ebraiche risultano in Egitto e in altre aree del Medio Oriente già dal 400-300 a.C.

Dalla cattività babilonese alla grande diaspora
Così divisi, i due regni vengono invasi prima dagli Assiri e successivamente dai Babilonesi nel 586 a.C.. Da questo momento ha inizio la serie di eventi che porteranno alla diaspora ebraica, come abbiamo già accennato.
La "cattività babilonese" (587-538) termina con la conquista di Babilonia da parte dei persiani il cui re, Ciro, permette il ritorno degli ebrei in Palestina. Ma non esiste più uno stato ebraico e il potere viene esercitato, di fatto, dalla casta sacerdotale e dal gran sacerdote. Il crollo dell'impero persiano, a opera di Alessandro Magno (332), inserisce la Palestina nel regno ellenistico dei Tolomei d'Egitto (312): ad Alessandria si insedia una numerosa comunità ebraica nella quale si fonde, in una sintesi originale, tradizione biblica e cultura greca. Al dominio dei Tolomei segue quello dei sovrani ellenistici di Siria, i Seleucidi (198), che, con Antioco IV Epifane (174-164), tentano di ellenizzare la Palestina. La rivolta dei Maccabei (i tre fratelli Giuda, Gionata e Simone) mette fine al dominio Seleucide (141). Ma il nuovo stato ebraico risulta profondamente diviso da dispute religiose (sadducei, farisei, esseni, asidei) e politiche. Verso il 63 a.C. avviene l’invasione del territorio ebraico da parte dei romani; la Giudea diventa prima uno stato vassallo dell’impero e poi una vera e propria provincia di Roma. La situazione non migliora con la dominazione romana; anzi la tragica conclusione delle due grandi rivolte ebraiche nel 70 d.C e nel 135 d.C., porta a un abbandono in massa della Palestina da parte degli Ebrei. Le fonti antiche parlano di 600mila morti e di decine di migliaia di Ebrei venduti come schiavi. Il Tempio (costruito da Salomone, distrutto dai Babilonesi e molti secoli dopo ricostruito) viene di nuovo e definitivamente distrutto (ne resta ancora oggi il solo “muro del pianto”); la stessa Gerusalemme viene vietata ai figli di Israele. Ha così inizio la Grande diaspora ovvero la dispersione del popolo ebreo per il mondo.

Diversi ma tollerati
Molti Ebrei dispersi si rifugiano in Europa, soprattutto in Spagna, Italia, Germania, Francia. Successivamente con l'affermazione del Cristianesimo in Europa il popolo ebraico va incontro a maggiori problemi, infatti vengono accusati di deicidio poiché la morte di Cristo (Dio), secondo i Cristiani, è stata causata dal popolo ebraico. L'atteggiamento della Chiesa nei loro confronti è stato fin dal principio duplice: agli ebrei vengono attribuite le colpe di miscredenza e deicidio, ma non c'è dubbio che essi sono stati prima dei cristiani il popolo eletto e che attraverso i loro profeti Dio ha dettato l'Antico Testamento, la base del Vangelo. La Chiesa è perciò favorevole alla loro progressiva emarginazione dalla vita civile, ma è contraria a sopprimere la loro libertà di culto.
Gli Ebrei, in molti luoghi, possono esercitare solo il commercio della roba usata e praticare il prestito ad interesse. Quest’ultimo è ufficialmente vietato dalla Chiesa che lo permette però a chi, come l'ebreo, non appartiene alla comunità cristiana. Il fatto è di incalcolabile importanza: in un'epoca in cui si passa dall'economia di baratto a quella di mercato, il controllo degli investimenti e della circolazione monetaria assicura un ruolo finanziario e commerciale primario a chi lo detiene. Il prestito serve sia ai nobili e alle prime Signorie, che hanno bisogno di continui finanziamenti per le guerre, sia al popolo minuto, le cui misere condizioni di vita lo costringono a ricorrere a piccoli prestiti per sopravvivere.
Agli ebrei sono concesse dagli stessi signori le condotte, autorizzazioni relative anche ai banchi di pegno attraverso i quali prestano danaro a tasso prefissato. E spesso solo in base a questa attività essi hanno diritto di residenza. Ben presto le condotte aumentano e gruppi ebraici si stabiliscono nelle grandi e piccole città come nei centri rurali.
L'intensificarsi della devozione popolare e la crescente irritazione nei confronti dell'usura praticata dagli ebrei culminano in una serie di espulsioni: dall'Inghilterra nel 1290, dalla Normandia nel 1296, dalla Francia nel 1306, nel 1394 e alla fine del '400 dai domini spagnoli.
Il IV Concilio Lateranense (1215) stabilisce che gli ebrei devono vivere in quartieri separati (che prenderanno in Italia il nome di ghetti) e portare un segno di riconoscimento, consistente per gli uomini in cappelli di foggia e colore particolare (giallo o rosso) o un disco di panno sul mantello; le donne dovevano avere un velo giallo sul capo, come le prostitute. Queste disposizioni rimangono per lo più inattuate per oltre un secolo.

La peste nera che si diffonde in Europa nel 1348 è nuovo motivo di persecuzione. Gli ebrei sono infatti incolpati di diffondere la malattia avvelenando i pozzi, rimanendone essi immuni. Se la prima accusa è falsa, la seconda nasce da un'osservazione probabilmente fondata. Gli ebrei vivono già raccolti e isolati in un'unica zona della città (il ghetto) e seguono, per motivi religiosi, particolari e rigorose norme alimentari ed igieniche. È possibile quindi che, proprio grazie a questi elementi, la pestilenza non trovi terreno fertile nelle loro comunità. La calunnia, che nasce e si diffonde in Germania, provoca massacri e fughe. Molti ebrei fuggono dal centro Europa e trovano rifugio anche nell'Italia settentrionale, in particolare nelle comunità di Venezia, Padova, Ferrara e Mantova. Il numero degli ebrei che vivono nella nostra penisola sale a circa 50 mila su un totale di 11 milioni di italiani. Il primo umanesimo, con il suo spirito di apertura e conciliazione, favorisce lo sviluppo della cultura e delle lettere anche nel gruppo ebraico.
In Germania gli ebrei conducono una esistenza precaria e agitata, soggetti a contratti regionali che consentono il soggiorno a una platea numericamente limitata e che spesso impongono restrizioni temporali, limitando la permanenza ad un determinato numero di anni. È quindi inevitabile che gravitino sempre più verso l'Europa orientale, dove trovano buona accoglienza e si vedono riconoscere privilegi speciali.
Altri continuano a risiedere nello Stato Pontificio, dove i papi li tengono sotto il loro attento controllo.

Perseguitati
Però la popolazione ebraica più numerosa e più prospera, nell'Europa del XIV secolo, è quella spagnola, dove le comunità bene organizzate godono della protezione particolare dei sovrani di Aragona e di Castiglia.
Grazie alle condizioni favorevoli gli ebrei di Spagna annoverano fra loro una quantità di cortigiani, diplomatici, esattori delle imposte, medici, astronomi e traduttori che fanno carriera al servizio dei loro signori e d'intellettuali, ai poeti, e ai pochi che salgono in fama per le loro versioni delle opere filosofiche e scientifiche di autori arabi, facendo guadagnare ai propri connazionali il titolo di "mediatori culturali dell'Europa ”.
Però all'inizio del 1500 in Spagna, i re cattolici Ferdinando e Isabella decidono di cacciare dal loro regno tutti gli ebrei che vi abitano. Furono cacciati 100.000 individui. La "nazione ebrea" resta così al bando delle comunità cristiane per molti secoli. Soltanto nel 1781 l'imperatore d'Austria Giuseppe II emana una patente di tolleranza (atto legislativo che concede la libertà di religione ai gruppi non cattolici tra cui gli ebrei) per gli israeliti, mentre la Rivoluzione francese pronuncia a sua volta la piena equiparazione degli ebrei agli altri cittadini nel 1791.
La "emancipazione" degli ebrei è successivamente sancita nel corso dell'Ottocento dagli altri Stati europei, tra cui il Regno di Sardegna nel 1848, il Regno d'Italia nel 1861, la Gran Bretagna nel 1866, la Germania nel 1870. Assai dura per tutto l'Ottocento resta, invece, la condizione degli ebrei in Russia, in cui l'annessione delle province polacche aveva inserito più di un milione di israeliti; l'assassinio di Alessandro II (1881) provoca sanguinosi massacri di ebrei (pogrom), favoriti dal governo, che si ripetono negli anni seguenti, provocando migliaia di morti. L'antisemitismo però non scompare nei paesi in cui gli ebrei sono stati emancipati; esso continua a serpeggiare virulento all'interno di circoli culturali e di gruppi politici di orientamento reazionario e nazionalista. Con la riorganizzazione degli stati dell'Europa su base etnica gli Ebrei, senza Stato, diventano facile bersaglio della retorica nazionalista. Il razzismo antisemita prende poi nuovo vigore dopo la grande guerra, con manifestazioni particolarmente violente e irrazionali in Germania, dove il nazionalismo stimolato dalla disfatta addossa agli ebrei e ai socialisti la responsabilità della sconfitta, aprendo la strada alle farneticazioni di Hitler, che indica negli ebrei la causa di tutte le disgrazie del paese. Gli ebrei, quindi, di nuovo, assumono il "ruolo" di capro espiatorio. Adolf Hitler, applicando sino alle estreme conseguenze i principi del nazionalismo wilsoniano, avviò a soluzione finale l’eliminazione degli Ebrei.

Fonte: www.it.wikipedia.org
 
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