Publio Virgilio Marone

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view post Posted on 23/4/2009, 13:06




PUBLIO VIRGILIO MARONE


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La Vita,

Le Opere





“Mantua me genuit, Calabri rapuere, tenet nunc Parthenope; cecini pascua rura duces”
“Mi generò Mantova, mi rapirono i Calabri, ora mi tiene Napoli; cantai i pascoli, le campagne, gli eroi”
(Epitaffio)



Nel 70 avanti Cristo, nelle Idi di ottrobre, Publio Virgilio Marone nacque ad Andes, presso Mantova, da una famiglia di coltivatori, appartenente alla piccola borghesia locale, romanizzata da poco, dalla madre Magia Polla e da un padre che aveva forse nome Vergilius e che possedeva un poderetto lungo le rive del Mincio, felice luogo d'infanzia per il poeta.

Le fonti antiche e le testimonianze archeologiche paiono suggerire un'identificazione del villaggio natale con Pietole, idea che affonda le sue radici in una tradizione medioevale accreditata dallo stesso Dante.
Iniziò gli studi a Cremona, dove frequentò la scuola di grammatica, e dove, a quindici anni, prese la toga virile. Si trasferì a Milano e poi nuovamente a Roma, alla scuola del retore Elpidio (esponente dell’indirizzo asiano), il quale annoverava tra i suoi discepoli i giovani che avrebbero formato la futura classe dirigente di Roma, fra cui ad es. Marco Antonio e Ottaviano.
Non fece molti progressi nell'oratoria, per la timidezza e per la pronuncia difettosa; allora si volse alla filosofia, alla medicina e alla matematica, sotto la guida di Sirone epicureo, a Napoli, alla cui influenza e' dovuta probabilmente la sua attitudine all'osservazione minuta, all'esattezza delle rappresentazioni. Qui divenne intimo amico di Vario Rufo e Plozio Tucca, i futuri curatori della I edizione dell’Eneide.
Dopo la morte di Cesare, fece ritorno ad Andes, dove, mentre era impegnato nella composizione delle "Bucoliche", i suoi campi di Mantova furono assegnati ai soldati di Ottaviano, per i quali si era rivelato insufficiente il territorio di Cremona. Virgilio non dimenticò mai il dolore causato dalla perdita della sua terra, per la quale sentì sempre una viva nostalgia.
Perdute le sue terre, Virgilio si trasferì a Roma, dove pubblicò le "Bucoliche". L’anno successivo entrò a far parte del circolo letterario di Mecenate. Quest’ultimo ed Ottaviano offrirono a Virgilio una casa a Roma, nel quartiere dell’Esquilino, ma il poeta spesso preferiva ritirarsi a sud verso il mare ed il sole, mentre si dedicava alla composizione delle "Georgiche", compiute in sette anni, durante un soggiorno a Napoli, fra il 37 ed il 30.
Le "Georgiche" gli diedero la fama e suscitarono l’ammirazione di Mecenate.
Nell’estate del 29 Ottaviano, tornato dall’Asia dopo la vittoria conseguita ad Azio su Antonio e Cleopatra, si era fermato ad Atella per riprendersi da un mal di gola. Là Virgilio gli lesse per quattro giorni di seguito i libri compiuti delle "Georgiche", aiutato da Mecenate, che lo sostituiva nella lettura quando era stanco.
Dopo questo episodio, fu scelto quale cantore del nuovo impero e del nuovo principe. Da questo momento fino alla fine della vita attese all’ "Eneide".
Ancora tre anni dopo l’inizio della stesura del poema, V. scriveva ad Augusto che l'opera era solo "incominciata" e ci vollero ancora tre anni perché la I redazione fosse terminata. Nel 22, V. ne lesse all’imperatore alcuni canti, ma non si trattava ancora della stesura definitiva.
Nel 19 a.C. V. partì per un lungo viaggio attraverso la Grecia e l’Asia allo scopo di arricchire la propria cultura e, nello stesso tempo, verificare la topografia dei luoghi descritti nel poema. Ad Atene il poeta incontrò Augusto, di ritorno dalle province orientali. Questi, notate le sue precarie condizioni di salute, lo persuase a tornare in Italia. V., che aveva appena visitato Megara sotto un sole cocente, era estenuato ed il suo stato si aggravò durante la traversata verso le coste italiane. Sbarcato a Brindisi, il poeta era in fin di vita, ma prima di morire chiese il manoscritto dell’ "Eneide", ancora incompiuta, per bruciarlo. Gli amici, per fortuna, non gli ubbidirono, forse secondo l'ordine dello stesso imperatore.
Il corpo di Virgilio fu trasferito nell'amatissima Napoli e sepolto sulla via di Pozzuoli. Suoi eredi furono Augusto e Mecenate, che diede incarico a Vario e Tucca di pubblicare il poema.
Grande la fortuna di Virgilio nel mondo antico; mentre i contemporanei salutarono Virgilio come vate della stirpe e lo anteposero, come attesta Properzio, allo stesso Omero. I grammatici della tarda latinità (Donato, Servio. Macrobio) lo proposero soprattutto come maestro di retorica e di stile, trascurandone i valori poetici. Gli scrittori cristiani lo predilessero, tra i classici, per l'equilibrio morale e la castigatezza dell'espressione. «anima naturalmente cristiana» lo disse Tertulliano, «specchio dell'anima umana» era consideravo da Fulgenzio, il quale comincia il processo di interpretazione allegorica e morale della figura e dell'opera virgiliana.

Tale prospettiva divenne quasi esclusiva nel medioevo, che fece di Virgilio un mago, un taumaturgo, un profeta di Cristo, soprattutto per 1'intonazîone messianica della IV egloga. La tradizione medievale si rispecchia nell'opera di Dante, per il quale Virgilio fu la guida luminosa nel regno del sapere e dell'arte, e il simbolo dell'umana ragione e perfezione.

A Dante, la conoscenza di Virgilio perveniva ricca di sensi e consolidata da una tradizione secolare. II poeta latino fu per lui maestro di stile, modello insuperato di eccellenza formale, ma anche simbolo dell'umana ragione, colui che con le sole forze dell'intelletto aveva raggiunto il più alto vertice della terrena perfezione. Dante, classicheggiante e nazionalista, ritrova le sue fonti ideali nell'Eneide, ed è per suo tramite che giunge alla concezione laica dello stato e dell'impero: in ciò maestro del Petrarca e di Nicola Di Rienzo.

L'Umanesimo e il Rinascimento hanno approfondito la conoscenza critica, filologica e quasi scientifica delle opere di Virgilio. I maggiori aristotelici si sono misurati sulla lettura dell'Eneide, che risolveva, in particolar modo, il problema dell'unità del soggetto e del protagonista, senza tuttavia annullare la varietà del contenuto.

Nel '700 e '800 forti personalità poetiche si sono rivolte alla diretta interpretazione di Virgilio: dall’Alfieri al Leopardi, fino al Pascoli. E' ovvio però che, nelle letterature moderne Virgilio non ha più funzione formativa, ma a lui si sono adeguati per affinità singoli poeti nella solitudine della loro personalità: da Milton a Schiller, da Victor Hugo a Pascoli. .


Le opere di riferimento.

“O de li altri poeti onore e lume,
vagliami 'l lungo studio e 'l grande amore
che m' ha fatto cercar lo tuo volume.”
(Dante, Inferno, Canto I, 81-83)

Virgilio prima di scrivere la sua opera più famosa, l’Eneide, ebbe modo di affermarsi attraverso opere precedenti, che non sono ispirate direttamente ai luoghi dell’Agro Romano, come invece è per l’Eneide.

Tuttavia, le Bucoliche e le Georgiche opere d’ispirazione agreste, per alcuni critici, soprattutto la seconda opera, di valore artistico pari se non superiore all’Eneide, sono un possibile naturale complemento di un Parco Letterario che nasce in un territorio storicamente definito dalle caratteristiche naturali dell’Agro o Campagna romana, appunto! Questa dimensione naturale, agricola del territorio pur nelle sue trasformazioni profonde che ha subito nel ‘900 potrà essere certamente fonte d’ispirazione per diverse attività del Parco Letterario® Virgilio.
L’Eneide resta l’opera più famosa di Virgilio, è certamente, con i suoi riferimenti diretti al territorio del Parco Letterario® a Pomezia, il principale punto di riferimento, la guida letteraria per il progetto e di questa ne segue un breve approfondimento.
L'Eneide, definita il poema nazionale del popolo romano, fu scritta da Virgilio nel clima esaltante dei primordi dell'impero su pressante invito di Augusto. Il predominante tema eroico si risolve in un'affermazione dei più nobili valori dell'umanità, ripensati in un momento di sicura fiducia, ma con lucida consapevolezza dei drammi e dei lutti che portato a tanta altezza. Pertanto l'Eneide, scritta come epopea nazionale di Roma, poté, al tempo stesso, essere letta come il poema dell'umanità nella sua ascesa faticosa più alti destini.
Alla materia dell'opera, attinta da diverse fonti ed elaborata con una lucida fantasia che cerca un sostegno nella documentazione scrupolosa, Virgilio dà una forma originale, ma personalissima, che è frutto di una raffinata tecnica stilistica e di una tormentosa ricerca della dizione esatta e convincentemente espressiva. Il mondo del poeta, in cui si riflettono le sofferenze, le fatiche, le illusioni e le passioni dell'umana vicenda, prende in esso concretezza, ordine e splendore.
Nel secolo II I'Eneide rimase il poema della maggiore e inappellabile autorità in fatto grammaticale e linguistico. I secoli III, IV e V ne segnano la più grande fortuna in senso retorico e formale, poiché anche quando la vita letteraria si limitò alla pura esercitazione stilistica. Virgilio fece testo, trasmettendo attraverso l'imitazione esteriore qualche germe lirico e qualche risonanza del suo più sostanziale contenuto; e sebbene il suo primo trionfo sia celebrato dal gusto della più decadente latinità, tuttavia quest'attività scolastica ha avuto il merito di stabilire in modo definitivo, la coscienza del genio virgiliano. Ne furono apologisti ed esegeti Elio Donato, Servio Donato, Microbio, Fulgenzio, che ne accompagnarono la lettura per tutto il Medioevo, fino al Rinascimento, quando i testi virgiliani cominciarono ad essere sottoposti al rigore della critica.
Fra il V e VI secolo, su ispirazione di Fulgenzio, 1'Eneide subisce una interpretazione allegorica e morale, che trasporta il poema in un piano astratto e universalistico, agevolando così la penetrazione di Virgilio negli ambienti ecclesiastici e ortodossi. L'Opera è intesa come una complessa metafora della vita umana: del resto anche in Dante ci sono residui di questa valutazione, e lo stesso Tetrarca, che insisteva sui valori poetici del poema, non ne escludeva ì sensi anagogici ed eterocliti.
“L'incontro di Dante con Virgilio, all'uscita dalla "selva oscura" così come la sua elezione a guida nel viaggio attraverso l'Inferno e lungo le sette cornici del Purgatorio "non ha soltanto un significato simbolico, nel contesto religioso e morale del poema, ma anche un preciso avvertimento letterario, preceduto ed accompagnato dal ripudio di un altro poeta, Ovidio, e della poesia d'amore, in un più ampio ed ambizioso progetto di rinascenza culturale" (G. Petrocchi, Il I canto dell'Inferno, in Nuove Letture dantesche, 1966).
"Tu se' ... 'l mio autore" (Inf. I, 85) dice Dante. Virgilio è l'"auctor", il modello sicuro, la memoria, insieme personale e storica, colui che testimonia e conferma a Dante, con l'Eneide, la natura provvidenziale ed universale dell'Impero Romano, che prepara ed accompagna la redenzione spirituale operata da Cristo.
Nel Cinquecento l’Eneide ispirò i poemi cavallereschi: Ariosto si ricordò di Eurialo e Niso per l’episodio di Cloridano e Medoro dell’Orlando furioso e Tasso, che con la Gerusalemme liberata voleva creare il poema epico cristiano, assunse come modello il poema virgiliano.
Proprio nel Cinquecento viene prodotta la “famosa” traduzione in italiano di Annibal Caro che simboleggia e testimonia attraverso la sua duratura attenzione nei secoli, tra illustri uomini di cultura come tra anonimi scrittori o innumerevoli studenti, praticamente fino ad oggi, il costante valore storico ed artistico dell’opera di Virgilio.


Nel '700 e '800 forti personalità poetiche si sono rivolte alla diretta interpretazione di Virgilio: dall’Alfieri al Leopardi, fino al Pascoli. E' ovvio però che, nelle letterature moderne Virgilio non ha più funzione formativa, ma a lui si sono adeguati per affinità singoli poeti nella solitudine della loro personalità: da Milton a Schiller, da Victor Hugo a Pascoli.
 
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mi sta sui mar*oni
 
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L i ƒ e
view post Posted on 23/4/2009, 14:02




Wow, che bel gioco di parole
 
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view post Posted on 23/4/2009, 15:02
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